In questo periodo di clausure volontarie (o meno), il pensiero va subito a Emily Dickinson, a una straordinaria poetessa che per tutta la sua (breve) vita rimase confinata tra le quattro mura della sua casa e lo spazio del suo giardino (forse solo una volta uscì per partecipare a un funerale), probabilmente per una grave forma di agorafobia.
Scrisse più di 1600 poesie, ritrovate dopo la sua morte: in vita ne aveva pubblicate una manciata, spesso con uno pseudonimo maschile, per potersi guadagnare il rispetto della pubblicazione. Ma seppe, con la sua scrittura potente e cristallina, costruirsi mondi narrativi alternativi, ampi e spaziosi, i quali, come nella poesia che leggo, ci possono aiutare a ri-dare un senso nuovo e più compiuto al mondo che stiamo vivendo e al mondo che vorremo costruire una volta evasi dalle nostre casalinghe prigioni.