Le poesie del laboratorio “Poesia in rete”

Dopo gli haiku, nel laboratorio poetico online “Poesia in rete” del 2 maggio 2020 abbiamo riflettuto su quale oggetto noi consideriamo simbolo, correlativo oggettivo (alla montaliana maniera), dell’idea di CASA.

Gli oggetti popolano le nostre case, sono frutto di studi antropologici (come nel caso di Daniel Miller e dei suoi testi Per un’antropologia delle cose e Cose che parlano di noi), non costruiscono solo arredamento ma parlano di noi, di chi siamo, di cosa abbiamo vissuto, di cosa ci garba e di cosa ci fa stare talmente bene da includerlo nella nostra dimensione più privata.

Ecco le poesie che sono venute fuori dall’analisi degli oggetti.

Diaframma.

Albeggiare affresca a macchie
nella stanza e, alle tue tonalità,
appese alla parete – ormeggia
sopra lo schienale. Di schiena,
mantieni il tuo riserbo, il volto
vano, oasi verso la possibilità.

Come stai? Conservi il broncio
del sonno? Fraterno, il pennello
ti consacrò senza espressione,
conchiusa in eterno, nelle coro
increspato di tinte cobalto, che (al)
sole bisbigliano. Lo sguardo erra
nell’abbraccio del tuo orizzonte,
che non era del tutto tuo, ma la
sua proiezione della vostra terra.

Oggi sorride il riverbero alla
“Muchacha en la ventana” ,
mentre con un gesto d’orgoglio,
rispolvero il souvenir parigino
del nostro viaggio senza meta.
Custode distratto del trasloco,
di dolci cantilene, del gioco di
palpebre insonni e del risveglio
nel blu metilene della tua iride,
in cui non smetto di approdare.

(Evocazioni da un quadro di Camilla Bertolina)

 

Ali e pagine [breve]

Libri dimorano sugli scaffali.
La polvere -silenzioso guardiano-
domina pagine dimenticate.

Esiliato tra le mura,
mi immergo nei dettagli;
prima viaggiavamo
a velocità troppo diverse.

Tutto appare raggelato,
ma non gli uccelli
che governano spazi celesti e terreni.
Tacita complicità ci unisce;
io scuoto briciole sull’erba,
loro, col canto, decorano i giorni.

Svelti come il tempo,
colgono le occasioni.
Mi affaccio -illuso di vederli-
ma tutto è già accaduto.

Questo mutilato scorrere
suscita dubbi su cosa sia reale.
Se gli immobili libri, chiusi,
in attesa d’un lettore
o gli audaci uccelli
che godono del vento, senza un mai.

Sorpreso dal pensiero,
lascio svanire il dubbio
nel profumo d’acacia.
Assorbo il silenzio dei fogli,
il cinguettio e vivo d’attesa;
del semplice esistere di uccelli e libri.

Di ali e pagine.

(Alberto Camarilla)

 

Casa è una parola facile – la prima
che si possa imparare – chiara da
pronunciare. Io la metto in tasca, la
scavo nel palmo della mano sinistra
perché rimanga sul mio tocco leggero,
disperato, affranto dalla risacca di un
mare che feroce mi respinge. Una casa
è alle spalle – piango perché non so se
potrò mai tornare – casa è il tatuaggio
del mio tempo trascorso – l’ansia del
risveglio freddo sotto un sole che chiama
l’ombra con un altro nome. Casa è una
facile parola – ogni spazio che di me
riempio – le mie spalle, la testa, la curva
delle ascelle – casa è adesso, qui, dove
lavoro, scrivo, parlo – dove ho spezzato
la notte, quando chiesi aiuto a rotte ignote,
dove deposi la sabbia sull’altro mio
scomposto corpo. Casa sarà una facile
parola – agevole da pronunciare – casa
sarà un sorso di sudore – quando potrò
finalmente pronunciare tutti i nomi senza
l’ostaggio (né la colpa) dell’errore.

(Giulio Gasperini)

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Autore: Giulio Gasperini

Nato nella Maremma toscana trent'anni fa (ora più, ora meno), studente a Firenze e Roma, adesso operatore sociale ad Aosta. Senza dubbio si può definire un "migrante". Ma solo per passione, perciò fortunato. Al quarto libro di poesie ("Migrando", END Edizioni, 2014), cercare di star fermo il meno possibile: non ha ancora trovato nessun antidoto (ammesso che lo stia cercando) alla sua irrequietudine. In uscita, il libro da lui curato con la collega Tiziana Gagliardi "Stran(i)eri. Storie di alfabetizzazione" (END Edizioni, 2019) che raccoglie l'esperienza dei tre anni della Scuola di italiano DoubleTe per richiedenti asilo e profughi di Aosta.

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