Leggendo I vagabondi della Premio Nobel 2018 Olga Tokarczuk, mi imbatto nel racconto Non aver paura e quello che il giovane serbo, Neobojsa, racconta mi ha folgorato, perché è esattamente quello che ho provato al cospetto di Sarajevo, uno dei miei luoghi di elezione.
“Prima vedi sempre quello che è vivo, bello. Vieni colpito dalla natura, dai bei colori della chiesa locale, dai profumi e così via. Ma più a lungo stai in un luogo, più la bellezza di queste cose sbiadisce. Comincia a chiederti chi ha vissuto prima di te in quella casa e in quella stanza, di chi sono quelle cose, chi ha graffiato la parete sopra il letto e di quale legno sono fatti i davanzali. Quali mani hanno costruito un camino così finemente decorato e hanno asfaltato il cortile. E dove sono ora? Sotto quale forma? Quale mente ha tracciato i sentieri intorno allo stagno e a chi è venuto in mente di piantare un salice sotto la finestra? Tutte le case, i viali, i parchi, i giardini, le strade sono impregnati della morte di altre persone. Quando senti che qualcosa comincia ad attirarti da un’altra parte, ti sembra che sia ora di andarsene via”.