Chi si indigna per le rivolte degli Stati Uniti, dicendo che così-passano-dalla-ragione-al-torto è uguale a chi si indigna per i Pride, perché son-baracconate-e-infastidiscono-i-benpensanti; chi fa questo è untore infettante di una morale borghese che ignora le cause, i motivi profondi, le ragioni ataviche, e discetta con pasticcini e tè inglese sul divano della sua casa con terrazza, giardino e amaca, un po’ alla Desperate Housewives: l’importante è che la presunta immoralità stia ben nascosta negli scantinati o sotto il tappetto. Perché il sistema, in definitiva, ci va bene così: il cambio ci terrorizza e ci inquieta. Meglio, allora, condannare la ”brutalità” inevitabile di chi si vede ogni giorno discriminare e violare in ogni basilare diritto umano, sociale e civile.
Ecco la prima carta che introduce il rispetto dei diritti umani, promulgata nel 1222. In Europa? No! Lei si è sempre e solo preoccupata di risurre in schiavitù e di plasmare un’idea di suprematismo bianco, che fosse alibi per saccheggi, violenze, genocidi che non durassero solamente un giorno. La prima carta nasce in Africa, con l’intronizzazione di Sundjata Keita, sovrano islamista del Mali:
“L’impero Mandenke è fondato sull’intesa e la concordia, la libertà e la fraternità. Ogni vita umana è una vita, di uguale dignità. Non c’è peggiore calamità della fame, e della schiavitù, che causano desolazione. Finché avremo arco e faretra la guerra non distruggerà un nostro villaggio per procurarsi degli schiavi. La schiavitù è proibita da un punto all’altro del regno Manden, la razzia è messa al bando a partire da oggi. Questo è il giuramento di Manden rivolto alle dodici parti del mondo”.
