Le rivolte necessarie

Chi si indigna per le rivolte degli Stati Uniti, dicendo che così-passano-dalla-ragione-al-torto è uguale a chi si indigna per i Pride, perché son-baracconate-e-infastidiscono-i-benpensanti; chi fa questo è untore infettante di una morale borghese che ignora le cause, i motivi profondi, le ragioni ataviche, e discetta con pasticcini e tè inglese sul divano della sua casa con terrazza, giardino e amaca, un po’ alla Desperate Housewives: l’importante è che la presunta immoralità stia ben nascosta negli scantinati o sotto il tappetto. Perché il sistema, in definitiva, ci va bene così: il cambio ci terrorizza e ci inquieta. Meglio, allora, condannare la ”brutalità” inevitabile di chi si vede ogni giorno discriminare e violare in ogni basilare diritto umano, sociale e civile.

Ecco la prima carta che introduce il rispetto dei diritti umani, promulgata nel 1222. In Europa? No! Lei si è sempre e solo preoccupata di risurre in schiavitù e di plasmare un’idea di suprematismo bianco, che fosse alibi per saccheggi, violenze, genocidi che non durassero solamente un giorno. La prima carta nasce in Africa, con l’intronizzazione di Sundjata Keita, sovrano islamista del Mali:
“L’impero Mandenke è fondato sull’intesa e la concordia, la libertà e la fraternità. Ogni vita umana è una vita, di uguale dignità. Non c’è peggiore calamità della fame, e della schiavitù, che causano desolazione. Finché avremo arco e faretra la guerra non distruggerà un nostro villaggio per procurarsi degli schiavi. La schiavitù è proibita da un punto all’altro del regno Manden, la razzia è messa al bando a partire da oggi. Questo è il giuramento di Manden rivolto alle dodici parti del mondo”.

I dieci punti per la convivenza.

Di Alexander Langer, 1994.

1. La compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione; l’alternativa è tra l’esclusivismo etnico e la convivenza;

2. Identità e convivenza: mai l’una senza l’altra; né inclusione né esclusione forzata;

3. Conoscersi, parlarsi, informarsi, inter-agire: “più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci comprenderemo”;

4. Etnico magari sì, ma non a una sola dimensione: territorio, genere, posizione sociale, tempo libero e tanti altri denominatori comuni;

5. Definire e delimitare nel modo meno rigido possibile l’appartenenza, non escludere appartenenze ed interferenze plurime;

6. Riconoscere e rendere visibile la dimensione pluri-etnica: i diritti, i segni pubblici, i gesti quotidiani, il diritto a sentirsi di casa;

7. Diritti e garanzie sono essenziali ma non bastano; norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici;

8. Dell’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”;

9. Una condizione vitale: bandire ogni violenza;

10. Le piante pioniere della cultura della convivenza: gruppi misti inter-etnici.

Manchi.