L’isolamento domiciliare ha portato con sé, oltre lo sguardo delle finestre cieche, il ricordo delle isole che più amo; quei luoghi che, assurdamente (odiando io con forza viscerale il mare e la sua fruizione più becera), sono diventate case, rifugi, approdi certi nel delirio frenetico del movimento.
Ecco, allora, che con le parole, unico strumento che io sappia – così così – usare, è nata questa poesia per la mia più meridionale isola.
Di Lampedusa (con Sandro Penna)
Come si muove il vento entro l’agosto
e il novembre – un lungo ritorno di
colori acque racconti dove si sfasciano
le sponde degli orizzonti. Albero Sole
mi sostiene, come sul palmo della mano,
mi spinge alto e proietta la mia ombra
oltrebordo, tra quelle rocce e quei versi di
cavazze che mi chiamano un lento ricordo.
La mia ombra lunare so dove si poggia:
sulla balconata di Piazza Castello, alla
base remota del Faro di Levante, dove
il mare sconfina nel cielo e il vento
scontorna il tempo – declinato tutto e
posticipiato – com’era l’onda sullo scoglio
aperta. Non domino il tempo futuro –
non esiste nella mia lingua privata. Quando
tornerò alla mia isola di una volta, ricercherò
le compagne di allora, lo sguardo che basta
e che aspetta tutto colmo di guarenti parole.
