Il 1° luglio è la Festa nazionale della Somalia. Commemora l’unione del territorio della Somalia italiana e dello stato del Somaliland ex britannico nel 1960; una terra, la Somalia, considerata oramai un failed state, uno stato fallito, dilaniato da anni di conflitti, scontri intestini, mancanza di un governo centrale e di un controllo stabile.
Delle tante narrazioni legate alla terra somala (tante quelle che mi fanno i miei studenti), ce n’è una che mi ha sempre colpito, perché testimonia la nostra crudeltà e ferocia nei confronti del genere umano: la storia di Samia Yusuf Omar.

Samia nasce nel 1991 in una famiglia povera di Mogadiscio, e la giovane cresce con la passione (e il talento) per la corsa. Inizia a vincere le gare per dilettanti e, aiutata dal Centro olimpico somalo, riesce a partecipare alle Olimpiadi di Pechino, nella gara dei 200 m. Ottiene il suo primato, 32 secondi e 16 centesimi, ma è anche l’ultimo tempo di tutte le batterie. La sua corsa, di cui rimane una commovente testimonianza su YouTube, è una corsa di orgoglio e determinazione, nonostante le prime avversarie taglino il traguardo molti secondi prima di lei. “Avrei preferito essere intervistata per essere arrivata prima, invece che venire intervistata per essere arrivata ultima.”, dirà ai giornalisti che la osservano.
Negli anni successivi proverà in ogni modo a ottenere un visto per poter andare ad allenarsi in Europa, decisa a gareggiare anche alle Olimpiadi di Londra 2012. Ma gli anni passano e nessuno stato europeo le autorizza l’ingresso. Così tenta il tutto per tutto: di arrivare in Europa attraverso le rotte migratorie che passano dal deserto, approdano in Libia, e tentano di bruciare il confine del Mediterraneo.
Il connazionale Abdi Bile, ex mezzofondista e medaglia d’oro dei 1500 metri piani ai Mondiali di Roma 1987, sostiene che Samia sia morta annegata nell’aprile 2012, pochi mesi prima delle Olimpiadi, a causa del capovolgimento di un barcone sul quale si trovava. La sua morte è stata poi confermata dalle agenzie di stampa internazionali.
In Migrando (End Edizioni, 2014) ho dedicato una poesia alla storia di Samia Yusuf Omar. Eccola:
Olimpica.
A Samia Yusuf Omar
Lo stadio assorda – sono mani
che applaudono che sbattono
sulla pelle d’un tamburo, sulla
superficie dell’acqua? Sono passi
che affrettano, dallo start all’arrivo,
ignorando i secondi, sono piedi
che frullano nella confusione di
un’acqua nera. Spero di afferrare
la corda, come sfioro la pista, il
nido di uno stadio infinito che
esplode di futuro e d’attesa.
Scavalco il vento, scavalco il
parapetto di una barca leggera
sulle onde, corro corro verso
l’arrivo, alzo le braccia. Lo
inseguo senza spazio, accolgo
il suo respiro e riconsegno il mio.
Né ricordò nessuno il mio nome,
l’ultima arrivata, l’azzurra vestita.